Terzo settore: una riforma col copia-incolla
Finora sono stati prodotti testi mediocri, ricalcando sostanzialmente la vecchia normativa. Due facili emendamenti potrebbero dare dignità ad una riforma ancora molto lontana dai suoi obiettivi
Tra i tanti tormentoni, che agitano il nostro Paese dobbiamo registrare anche quello relativo alla riforma del Terzo settore. Non è certo tra i più inquietanti, ma interessa 5 milioni di volontari impegnati in Associazioni, Cooperative, Fondazioni, che costituiscono una rete di solidarietà estesa in tutto il territorio nazionale e ormai insostituibile per la tenuta del nostro sistema sociale. Sono una galassia di oltre 300 mila organizzazioni destinatarie di norme frammentarie, inique e perfino di difficile lettura, che negli anni ha messo in crescente difficoltà gli operatori e reso evidente la necessità di un radicale riordino.
Un processo in tal senso è cominciato nel 2014, quando il Governo ha approvato un documento d’indirizzo diventato poco dopo la legge delega 106/2016 contenente una serie di criteri, che avrebbero dovuto essere tradotti in pratica da successivi decreti delegati. Per esemplificare, il legislatore delegato avrebbe dovuto “semplificare la normativa vigente, garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica” ed anche realizzare “la armonizzazione ed il coordinamento delle diverse discipline vigenti in materia di volontariato e promozione sociale”.
C’era quindi grande attesa per il più importante dei decreti delegati pomposamente denominato “Codice del terzo settore” ( n°117/2017), ma la sua lettura ha creato una delusione ancora maggiore. Niente a che vedere con gli innovativi indirizzi della legge delega, ma solo una riproposizione delle precedenti normative talmente pedissequa da essere facilmente rintracciabile. Nel testo del decreto troviamo infatti interi pezzi della legge 266/91 che disciplinava le Organizzazioni di volontariato (Odv) e della legge 383/2000 che disciplinava le Associazioni di promozione sociale (Aps). Le vecchie norme sono state smembrate e riprodotte nella diversa articolazione del decreto con la tecnica del copia-incolla e costituiscono il corpo centrale dei 104 articoli del decreto, che per essere in qualche misura leggibile ha chiesto oltre 50 pagine di annotazioni in Gazzetta.
Con la medesima tecnica è stato predisposto il decreto legislativo sull’Impresa sociale (n°112/2017). Questo istituto era stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge 115/2006 per consentire l’esercizio di attività non profit nella forma delle società di capitali, ma non aveva riscontrato alcun interesse per mancanza di incentivi fiscali e finanziari. Il nuovo decreto non ha apportato sostanziali modificazioni alla normativa originaria, ma ha avuto il merito di integrarla con le attese agevolazioni a favore di chi vi mette capitali (detrazione IRPEF o IRES del 30% sulle somme investite). Ha confermato che possano essere considerate Imprese sociali le Cooperative già esistenti in base alla legge 381/91, nonostante in queste viga il voto capitario contrariamente a quanto avviene nelle società di capitale tradizionali (SpA, Srl) dove il voto dipende dalle azioni o quote possedute. Ha inoltre confermato la medesima possibilità alla generalità degli Enti privati che perseguano finalità solidaristiche, dando a soggetti eterogenei la possibilità di acquisire questa qualificazione giuridica, che va a prendere il posto delle soppresse Onlus.
Entrambi i provvedimenti sono incorsi in illogicità e perfino in svarioni tali da richiedere altrettanti decreti correttivi emanati nei mesi scorsi, che tuttavia non ne hanno cambiato la sostanza. Un giudizio tranchant è stato espresso dal Prof. Ugo Grassi, Ordinario di Diritto civile e Capogruppo del M5S della prima Commissione del Senato competente in tale materia, il quale ha giudicato mediocre e disordinata la riforma del Terzo settore, proponendo venga integralmente riscritta.
Anche se è auspicabile, è difficile che si arrivi a tanto. Richiederebbe troppo tempo ed è stata ormai intrapresa la strada dei piccoli ritocchi, per rendere almeno praticabile il pacchetto esistente. Sarebbe già molto se, sfruttando qualche proroga, si arrivasse a ridurre il numero delle figure giuridiche, che ha alcune vistose e ingiustificate duplicazioni. Le Odv e le Aps sono così affini che potrebbero essere accorpate in un’unica disciplina, semplificando notevolmente il testo vigente.
In secondo luogo, sarebbe opportuno tracciare in modo chiaro la linea di confine tra attività istituzionali e commerciali. Da tempo le organizzazioni non profit possono esercitare anche le seconde per autofinanziarsi, entro limiti tuttavia non ben definiti e comunque assoggettati ad una macchinosa burocrazia per non incorrere in tassazioni. Basterebbe elencare le entrate istituzionali (quote associative, versamenti degli associati, liberalità, proventi da Enti pubblici, interessi attivi e poche altre voci) e stabilire che ogni altra entrata è considerata commerciale e può essere esentata da imposta fino ad una certa percentuale delle entrate complessive.
Sono due emendamenti di facile elaborazione e di grande significato, che potrebbero essere introdotti con i prossimi inevitabili decreti correttivi per dare dignità ad una riforma ancora lontana dalle esigenze del settore e dagli stessi indirizzi della legge delega.
Fabio Pietribiasi
Vicenza, 15 settembre 2018