Rifugiati: cosa è stato detto al Convegno
E’ emersa ancora una volta l’abissale differenza tra il reale impatto del fenomeno migratorio e la percezione che ne hanno gli italiani. Non c’è alcuna invasione in atto e quote selezionate di immigrati sono integrabili nelle nostre strutture economiche e sociali. Basta capirne l’opportunità ed abbandonare i pregiudizi
Lunedì 15 ottobre nella prestigiosa sede del Cuoa di Altavilla, si è svolto con pieno successo e larga partecipazione di pubblico il Convegno sui rifugiati programmato da tempo. L’hanno organizzato l’Associazione Altraimpresa, la Fondazione Futuro di solidarietà e vi ha contribuito il Movimento Federalista Europeo (MFE) per l’inquadramento del tema a livello sovranazionale.
Apertura dei lavori
I lavori sono cominciati con il saluto di Paolo Pajusco, Presidente di Altraimpresa e Segretario della Fondazione di solidarietà. Ha dovuto anche svolgere il ruolo di coordinatore, data l’assenza di Tiziano Treu, che come Presidente del Cnel aveva sostenuto l’iniziativa fin dalle prime fasi ma è stato trattenuto a Roma da una impegno dell’ultima ora. Gian Paolo Boschetti, Presidente della Fondazione di solidarietà, ha letto il messaggio di augurio inviato al Convegno, nel quale ha ribadito l’importanza del tema e l’attenzione che il Cnel continuerà a prestare. Giorgio Anselmi, Presidente nazionale MFE, ha sottolineato il carattere strutturale del fenomeno migratorio e la perdurante impreparazione delle istituzioni comunitarie. Mancano ancora persone e mezzi in grado di sorvegliare i confini esterni dell’Unione e mancano anche le dotazioni di bilancio, che è alimentato da una percentuale irrisoria del Pil europeo. E’ questo uno degli aspetti della crisi del progetto di integrazione e del modello di democrazia liberale, che chiede il costante impegno dei federalisti. E’ seguito poi un breve intervento di Don Enrico Pajarin, direttore della Caritas diocesana vicentina, che ha portato anche il saluto del Vescovo Beniamino Pizziol a riprova dell’interesse con il quale le autorità religiose hanno seguito l’iniziativa.
Relazioni
Stefano Allievi ha voluto mettere subito in chiaro il taglio politically incorrect del suo intervento, dicendo di non aver niente da spartire con quanti nascondono la testa sotto la sabbia e parlano d’altro (come fa la sinistra politica); né tanto meno con coloro che alimentano paure e allarmano le popolazioni, prospettando invasioni di massa lesive della loro cultura, delle loro tradizioni, della loro stessa identità (come fa la destra). Le migrazioni sono sempre esistite e quelle di adesso non sono molto diverse da tante altre accadute nella storia. Gli italiani ne avvertono alcune specificità per la vicinanza con il continente africano, che ha un Pil pari ad un 1/10 di quello europeo ed una crescita demografica esplosiva. Ovvio che molti cerchino di spostarsi dove si sta meglio per le più varie ragioni: fuggire da guerre, violenze, miseria, fame, malattie, esponendosi a grandi sofferenze e sfidando la morte. La durata media di un viaggio verso la speranza è di un anno e mezzo, se consideriamo che quasi tutti partono dalle regioni sub sahariane e dall’Eritrea. Anche se siamo in calo demografico, abbiamo chiuso tutte le strade di ingresso legale, con la conseguenza che arrivano masse disperate e di bassissimo profilo in termini di istruzione e capacità lavorative. In Europa ogni anno vanno in pensione 3 milioni di lavoratori e non possono essere sostituiti da chi non è nato. Bisogna rivedere le attuali posizioni di chiusura, che non sono solo della classe politica ma anche di buona parte di quella imprenditoriale. Se è possibile, un immigrato non si assume; meglio un italiano, anche se certi lavori non è più disponibile a farli. Bisogna quindi aprire canali legali di ingresso e sorvegliare i confini, dato per scontato che non si possono accogliere tutti. Se non lo fa, l’Europa rischia paradossalmente di crollare su un tema che non ha alcun peso sulle sue risorse di bilancio.
Maurizio Ambrosini ha esordito, evidenziando quanto la percezione dell’immigrazione sia lontana dalla realtà. Gli stranieri in Italia sono da anni sui 5,5 milioni, eppure molti sono convinti che siano tre volte tanto e che stiano prendendo il posto della popolazione italiana in costante calo. Però il dato statistico della presenza di immigrati non è cresciuto, mentre sono calati i ricongiungimenti familiari e sono calate pure le nascite. Non è in atto alcuna sostituzione di popolazione. Nemmeno è vero che siano in prevalenza maschi e musulmani. Ci sono molte donne dell’est europeo, come possiamo capire se pensiamo alle badanti. Quanto alla religione, è prevalente quella cristiano-ortodossa, anche se di poco. All’interno dei migranti, quelli meno accettati sono i rifugiati. Nessuno li chiama, arrivano in gruppi e pretendono assistenza. L’Europa si sta dimostrando una società chiusa, se pensiamo che l’84% dei rifugiati va in Paesi in via di sviluppo e che il Libano ne ha 169 per ogni mille abitanti mentre l’Italia solo 7. La scarsa simpatia delle popolazioni per questa categoria di migranti si spiega col fatto che non fanno niente. Sono considerati dei parassiti e degli abusivi, anche se hanno un titolo in tasca. Qui la legislazione è molto carente e contraddittoria. Consente di accedere ad un’occupazione dopo due mesi dalla presentazione della domanda di asilo, ma se questa viene poi rigettata salta anche il contratto di lavoro. Siamo al paradosso che il lavoro, cioè la più potente molla di inclusione, non trascina il permesso e la persona deve essere mandata via. Dove e come non si sa. Serve quindi correggere queste assurdità normative, ma servono anche reti locali di accoglienza ed integrazione fra operatori privati, pubblici, mondo della cooperazione e del volontariato.
Bruno Anastasia ha approfondito il tema del lavoro. Quello degli immigrati ha seguito il medesimo ciclo dei nativi, con un calo nel periodo di recessione ed una crescita nel periodo di ripresa. Nel Veneto ci sono 330 mila occupati stranieri, 352 mila se consideriamo anche i dipendenti con una sola giornata di lavoro nell’anno. Insignificante per contro il numero di stranieri occupati nati in Italia, per la ragione che in gran parte questi sono ancora in età scolare ed anche che alcuni hanno fatto in tempo ad ottenere la nazionalità italiana. Dati significativi riguardano le imprese. Tra il 2007 ed il 2015 è variata solo marginalmente la quota di imprese venete con stranieri in organico: era il 30%, è diventata il 31%. Sono aumentate per contro le imprese con soli lavoratori stranieri (+2.509), con conseguenze sull’occupazione: nel 2007 vi lavorava il 19% del totale degli stranieri, mentre nel 2015 questo dato è salito al 23%. E’ in questa categoria che si concentra tutta la crescita nel recente periodo di ripresa. Quanto alle figure professionali, c’è una larga prevalenza di quelle poco qualificate, badanti, braccianti, facchini. Interessante osservare che nel periodo di crisi 2008-2014 molte figure hanno perso peso, mentre nel periodo di ripresa 2014-2017 avanzano tutte tranne le badanti e gli edili, che perdono ancora. Per contro l’incidenza degli stranieri nelle alte qualifiche è ancora molto modesta. Per quanto riguarda i rifugiati le fonti statistiche non sono ancora molto affidabili, ma ci dicono che nel 2017 ne sono stati assunti 14 mila e 11 mila in questo scorcio di 2018, prevalentemente con contratti a tempo determinato (6.655); all’interno di tale dato sono in ascesa i richiedenti asilo rispetto a quanti chiedono protezioni umanitarie e sussidiarie. Tutti comunque di profilo formativo molto basso.
Testimonianze
La seconda parte del Convegno è stata animata dalle testimonianze degli operatori sociali. Roberto Baldo, Presidente di Federsolidarietà Veneta ha portato la voce delle 500 Cooperative sociali associate, sottolineando l’impegno istituzionale a favore delle categorie del disagio ed adesso anche dei rifugiati. Informazioni di maggior dettaglio sono state poi fornite da Cornelio Dalla Valle. Le Cooperative accolgono attualmente 3.000 rifugiati distribuiti in molte piccole strutture e li avviano a percorsi di integrazione: formazione, tirocini (oltre 700) e assunzioni (158, in prevalenza in agricoltura e nella ristorazione). Elisa Carollo ha dato una testimonianza dello storico impegno della Caritas diocesana vicentina per le categorie deboli, cui si è aggiunto da qualche anno quello per gli immigrati. Su sollecitazione della Prefettura, nel 2015 ha ampliato i suoi servizi e li ha estesi ai rifugiati, riuscendo ad inserire in contesti lavorativi 31 dei 60 giovani ospitati in diverse strutture provinciali. Infine Marco Boaria ha fatto conoscere l’attività di Alda, una associazione sorta per la diffusione della democrazia locale a livello europeo. E’ una emanazione del Consiglio d’Europa, opera in 40 diversi Paesi, ha una sede anche a Vicenza e collabora con Università, Comuni e diverse parti sociali utilizzando fondi europei per varie iniziative di carattere formativo e sociale estendibili ai rifugiati.